[Hardware/Tecnica] I Filtri
Inviato: ven, 30 mar 2007 - 13:03
Quante volte si chiedono info su questo o quel filtro?
Ecco una bella panoramica di quelli piu diffusi e del loro campo di utilizzo. Foto e testi di:Michele Vacchiano © 05/2003 nadir.it
Il filtro polarizzatore
Quando fotografo a colori il paesaggio, io non faccio mai a meno del filtro polarizzatore. Per capire come funziona, consideriamo la natura ondulatoria della luce.
Un raggio di luce bianca che viaggia libero nello spazio vibra disordinatamente in tutte le direzioni. Quando però questo raggio colpisce una superficie riflettente non metallica (acqua, ghiaccio, ma anche semplicemente un muro, una roccia, una persiana verde) ne viene per così dire "schiacciato": il raggio riflesso vibrerà secondo un solo piano, parallelo alla superficie stessa. Si dice che in questo caso il raggio è stato polarizzato.
A sua volta il filtro polarizzatore ha la capacità di polarizzare la luce, cioè di far vibrare secondo un solo piano la luce bianca che lo attraversa. Questo perché le molecole che costituiscono la sostanza polarizzante (solfato di iodochinina o herapathite, dal suo scopritore sir John Herapath) sono orientate in modo da formare una specie di griglia (immaginate una griglia metallica composta di sbarre parallele), che lascia passare solo la luce che vibra secondo il senso di orientamento delle molecole stesse.
Se a questo punto poniamo un filtro polarizzatore lungo il cammino di un raggio riflesso polarizzato, abbiamo due possibilità estreme:
* Le molecole del filtro (le sbarre della griglia) sono orientate secondo lo stesso senso di vibrazione del raggio luminoso: il raggio passerà senza problemi;
* Le molecole del filtro sono orientate perpendicolarmente al senso di vibrazione del raggio luminoso: il raggio verrà bloccato.
Questo spiega perché il polarizzatore, se convenientemente orientato, elimina i riflessi dall'acqua e dalle superfici riflettenti in genere. Non solo: eliminando parte della luce riflessa da tutte le superfici (non solo quelle lucide), il polarizzatore rende più saturi i colori.
Un altro effetto interessante è un parziale, e talvolta marcato, scurimento del cielo. Il fenomeno è dovuto al vapore acqueo sospeso nell'atmosfera terrestre. Le minuscole goccioline polarizzano la luce solare (polarizzazione per diffusione). Questa luce polarizzata può essere bloccata dal filtro polarizzatore, che in questo modo rende il cielo azzurro più saturo e gradevole a vedersi. Il massimo effetto si ottiene quando il sole si trova a 90 gradi rispetto all'asse di ripresa (in pratica, quando il fotografo ha il sole di fianco). In assenza di sole il filtro polarizzatore è inefficace e conviene toglierlo.
E' vero che il polarizzatore circolare è migliore e più efficace del polarizzatore lineare? Assolutamente no. Il suo maggior costo è giustificato dalla sua costruzione particolare e non da una migliore qualità; il suo uso è reso necessario da certi sistemi autofocus che possono entrare in crisi in presenza di luce polarizzata.
I filtri di protezione
Si tratta di filtri destinati a bloccare la radiazione ultravioletta presente a certe quote (in montagna, ad esempio) e in certe ore della giornata: in pratica le ore in cui più facilmente ci si abbronza. La pellicola è sensibile all'ultravioletto, per noi invisibile, e può reagire con uno sgradevole effetto-foschia e con uno spostamento verso l'azzurro dell'equilibrio cromatico generale dell'immagine.
Il filtro UV è trasparente, mentre il filtro skylight (fornito in diverse gradazioni) appare leggermente ambrato. Il suo scopo è quello di "scaldare" i colori, eliminando le dominanti azzurrine.
Non commento la deprecabile abitudine di usare questi filtri come protezione della lente frontale, lasciandoli perennemente montati davanti all'obiettivo. I filtri si usano quando servono, ogni altro utilizzo è improprio.
I filtri di conversione e correzione colore
Se si riscalda un corpo metallico nero aggiungendo una quantità sempre crescente di energia termica, si otterrà una emissione di radiazione elettromagnetica, dapprima nella banda dell'infrarosso termico, poi nella zona dell'infrarosso attinico, fino a raggiungere la banda spettrale della luce visibile. Il corpo metallico riscaldato diventerà dapprima rosso, poi arancione e giallo. Quando tutte le lunghezze d'onda proprie della luce visibile saranno state emesse, il corpo riscaldato apparirà completamente bianco (calor bianco).
Da quanto detto fin qui, appare chiaro che ad ogni scarto di temperatura corrisponde una proporzionale variazione nel colore del corpo riscaldato. Misurando queste variazioni con un termocolorimetro, si può determinare la temperatura di colore, o temperatura cromatica di una qualsiasi fonte di radiazioni elettromagnetiche visibili.
Questa temperatura di colore si misura in gradi Kelvin (°K), o più semplicemente Kelvin (K).
Si veda la tabella qui sotto.
Le emulsioni fotografiche sono tarate per una temperatura di colore di 5600K (luce diurna normale, flash), oppure per 3200K (luce al tungsteno, lampade fotografiche al quarzo-iodio). Pressoché introvabili ormai le pellicole tarate a 3400K e destinate all'uso con lampade Photoflood.
Che cosa succede se si utilizza una fonte di luce caratterizzata da una temperatura di colore diversa da quella per cui la pellicola è tarata? Semplicemente che l'immagine sarà affetta da vistose e spesso sgradevoli dominanti cromatiche. Se la fonte luminosa ha una temperatura di colore maggiore di quella per cui è tarata la pellicola, l'equilibrio cromatico dell'immagine risulterà spostato verso l'azzurro; al contrario, se la fonte luminosa ha una temperatura di colore inferiore a quella per cui è tarata la pellicola, l'equilibrio cromatico dell'immagine risulterà spostato verso il rosso.
Quanto detto vale soprattutto per le pellicole invertibili: nelle pellicole negative le dominanti cromatiche possono essere corrette in fase di stampa, anche se per lavori di qualità professionale esistono pellicole negative tarate per luce artificiale.
Come rimediare alle dominanti cromatiche? Con i filtri di conversione e correzione colore.
La differenza tra filtri di conversione e filtri di correzione è semplice. I filtri di conversione "convertono" la sensibilità cromatica della pellicola da un tipo di taratura all'altro. I filtri della serie blu (tipo Wratten 80A) consentono di usare in luce artificiale (3200K) pellicola tarate per luce diurna, compensando le dominanti gialle e rosse; i filtri della serie arancio (tipo Wratten 80B) permettono di usare pellicole per luce artificiale in luce diurna (5600K), compensando le dominanti azzurrine che ne deriverebbero.
I filtri di correzione colore (CC) sono la "famiglia" più grande, nella quale anche i filtri di conversione possono essere fatti rientrare. Essi servono a compensare le dominanti cromatiche indotte da una temperatura diversa da quella per cui la pellicola è stata tarata. Il loro uso è tutt'altro che semplice, dato che per ottenere una compensazione ottimale il fotografo dovrebbe andarsene in giro con un termocolorimetro (strumento piuttosto costoso) e - quel che è peggio - con l'intera serie di filtri Wratten.
Essendo questo improponibile (tranne per chi debba svolgere lavori di estrema precisione, come fotografia di quadri, affreschi o manoscritti miniati), si finisce per andare "a occhio" ed usare un paio di filtri standard buoni per tutte le occasioni. Le eventuali dominanti residue non sono una tragedia ed anzi vengono accettate volentieri da chi osserva l'immagine. Di solito ci si aspetta che la luce di un camino non appaia proprio perfettamente bianca, o che una fotografia scattata in riva a un lago gelato presenti quei toni azzurrini che suggeriscono l'idea del freddo.
I filtri digradanti
I filtri digradanti, o gradual, sono per metà trasparenti e per metà colorati. Il passaggio dalla zona trasparente alla zona colorata non è netto, ma graduale e sfumato.
La loro funzione è duplice.
Prima di tutto essi inducono una forte dominante cromatica in corrispondenza della zona dell'inquadratura che coincide con la parte colorata. I cieli viola, tabacco o malva che andavano di moda negli anni Ottanta, soprattutto in ambito pubblicitario, erano ottenuti in questo modo. Oggi questi effettacci appaiono ingenui e gratuiti, ma c'è ancora qualcuno che mostra di apprezzarli.
Attenzione: non usare questi filtri per colorare il cielo quando nella parte bassa dell'inquadratura c'è dell'acqua: simulare un cielo incendiato dalla luce del tramonto non è sufficiente se poi quello stesso cielo non viene riflesso! Un laghetto perfettamente azzurro sovrastato da un cielo rosso suona falso come il mago Otelma! Seconda precauzione: non usare i filtri digradanti se la linea dell'orizzonte non è diritta. In presenza di montagne o edifici di diversa altezza si rischia di colorare anche le cime o i tetti più alti.
La seconda funzione di questi filtri, la più "seria" e professionale, è quella di compensare lo scarto di esposizione esistente tra due zone dell'inquadratura. In presenza di forte scarto tonale tra cielo e paesaggio terrestre, si rischierebbe di avere un cielo troppo chiaro (se si espone per il paesaggio), o al contrario un paesaggio illeggibile (se si espone per il cielo). Un filtro digradante grigio medio, con la zona grigia posta in corrispondenza del cielo, bilancerà il contrasto tonale senza indurre dominanti cromatiche. In presenza di cieli azzurri e liberi da nubi (che se presenti verrebbero colorate) si può - con giudizio! - sostituire al grigio neutro un digradante azzurro.
I filtri per il ritratto
I filtri diffusori (detti anche "flou" o "morbidi") possono essere usati sia nel colore che nel bianco e nero, come è ovvio, ma li trattiamo qui perché molti dilettanti preferiscono effettuare ritratti a colori.
Su di essi non c'è molto da dire, se non che accentuano le alte luci e creano un effetto di diffusione particolarmente adatto a creare un'atmosfera romantica e sognante. Di solito vengono venduti in serie di tre, con effetti più o meno marcati di diffusione.
I filtri neutral density
Utili sia nel bianco e nero che nel colore, i filtri a densità neutra, venduti in diverse gradazioni, decrementano l'esposizione di un valore corrispondente al loro fattore-filtro. Ad esempio, un filtro ND4 decrementa l'esposizione di due stop.
Le loro funzioni sono molteplici. Ci limitiamo ad elencarne qualcuna.
* Uso di pellicole molto sensibili in luce diurna;
* Uso di obiettivi catadiottrici (quindi non diaframmabili) in presenza di forte luminosità ambientale o con pellicole di elevata sensibilità;
* In fotografia di architettura, per consentire tempi di posa sufficientemente lunghi da eliminare auto in movimento e passanti;
* Necessità di utilizzare diaframmi aperti (ad esempio, per effettuare una messa a fuoco selettiva) in presenza di forte luminosità ambientale.
Considerazioni finali
Tutti i filtri finora citati, ad eccezione di quelli "morbidi" per il ritratto, assorbono luce.
Analogamente vale tutto quello che avevamo detto riguardo alle precauzioni d'impiego. Quando il filtro non aggiunge nulla alla fotografia, il filtro non va usato, punto e basta. Ci si ricordi che si tratta sempre e in ogni caso di una coppia di superfici aria-vetro applicate a un obiettivo progettato per lavorare da solo.
Ecco una bella panoramica di quelli piu diffusi e del loro campo di utilizzo. Foto e testi di:Michele Vacchiano © 05/2003 nadir.it
Il filtro polarizzatore
Quando fotografo a colori il paesaggio, io non faccio mai a meno del filtro polarizzatore. Per capire come funziona, consideriamo la natura ondulatoria della luce.
Un raggio di luce bianca che viaggia libero nello spazio vibra disordinatamente in tutte le direzioni. Quando però questo raggio colpisce una superficie riflettente non metallica (acqua, ghiaccio, ma anche semplicemente un muro, una roccia, una persiana verde) ne viene per così dire "schiacciato": il raggio riflesso vibrerà secondo un solo piano, parallelo alla superficie stessa. Si dice che in questo caso il raggio è stato polarizzato.
A sua volta il filtro polarizzatore ha la capacità di polarizzare la luce, cioè di far vibrare secondo un solo piano la luce bianca che lo attraversa. Questo perché le molecole che costituiscono la sostanza polarizzante (solfato di iodochinina o herapathite, dal suo scopritore sir John Herapath) sono orientate in modo da formare una specie di griglia (immaginate una griglia metallica composta di sbarre parallele), che lascia passare solo la luce che vibra secondo il senso di orientamento delle molecole stesse.
Se a questo punto poniamo un filtro polarizzatore lungo il cammino di un raggio riflesso polarizzato, abbiamo due possibilità estreme:
* Le molecole del filtro (le sbarre della griglia) sono orientate secondo lo stesso senso di vibrazione del raggio luminoso: il raggio passerà senza problemi;
* Le molecole del filtro sono orientate perpendicolarmente al senso di vibrazione del raggio luminoso: il raggio verrà bloccato.
Questo spiega perché il polarizzatore, se convenientemente orientato, elimina i riflessi dall'acqua e dalle superfici riflettenti in genere. Non solo: eliminando parte della luce riflessa da tutte le superfici (non solo quelle lucide), il polarizzatore rende più saturi i colori.
Un altro effetto interessante è un parziale, e talvolta marcato, scurimento del cielo. Il fenomeno è dovuto al vapore acqueo sospeso nell'atmosfera terrestre. Le minuscole goccioline polarizzano la luce solare (polarizzazione per diffusione). Questa luce polarizzata può essere bloccata dal filtro polarizzatore, che in questo modo rende il cielo azzurro più saturo e gradevole a vedersi. Il massimo effetto si ottiene quando il sole si trova a 90 gradi rispetto all'asse di ripresa (in pratica, quando il fotografo ha il sole di fianco). In assenza di sole il filtro polarizzatore è inefficace e conviene toglierlo.
E' vero che il polarizzatore circolare è migliore e più efficace del polarizzatore lineare? Assolutamente no. Il suo maggior costo è giustificato dalla sua costruzione particolare e non da una migliore qualità; il suo uso è reso necessario da certi sistemi autofocus che possono entrare in crisi in presenza di luce polarizzata.
I filtri di protezione
Si tratta di filtri destinati a bloccare la radiazione ultravioletta presente a certe quote (in montagna, ad esempio) e in certe ore della giornata: in pratica le ore in cui più facilmente ci si abbronza. La pellicola è sensibile all'ultravioletto, per noi invisibile, e può reagire con uno sgradevole effetto-foschia e con uno spostamento verso l'azzurro dell'equilibrio cromatico generale dell'immagine.
Il filtro UV è trasparente, mentre il filtro skylight (fornito in diverse gradazioni) appare leggermente ambrato. Il suo scopo è quello di "scaldare" i colori, eliminando le dominanti azzurrine.
Non commento la deprecabile abitudine di usare questi filtri come protezione della lente frontale, lasciandoli perennemente montati davanti all'obiettivo. I filtri si usano quando servono, ogni altro utilizzo è improprio.
I filtri di conversione e correzione colore
Se si riscalda un corpo metallico nero aggiungendo una quantità sempre crescente di energia termica, si otterrà una emissione di radiazione elettromagnetica, dapprima nella banda dell'infrarosso termico, poi nella zona dell'infrarosso attinico, fino a raggiungere la banda spettrale della luce visibile. Il corpo metallico riscaldato diventerà dapprima rosso, poi arancione e giallo. Quando tutte le lunghezze d'onda proprie della luce visibile saranno state emesse, il corpo riscaldato apparirà completamente bianco (calor bianco).
Da quanto detto fin qui, appare chiaro che ad ogni scarto di temperatura corrisponde una proporzionale variazione nel colore del corpo riscaldato. Misurando queste variazioni con un termocolorimetro, si può determinare la temperatura di colore, o temperatura cromatica di una qualsiasi fonte di radiazioni elettromagnetiche visibili.
Questa temperatura di colore si misura in gradi Kelvin (°K), o più semplicemente Kelvin (K).
Si veda la tabella qui sotto.
Le emulsioni fotografiche sono tarate per una temperatura di colore di 5600K (luce diurna normale, flash), oppure per 3200K (luce al tungsteno, lampade fotografiche al quarzo-iodio). Pressoché introvabili ormai le pellicole tarate a 3400K e destinate all'uso con lampade Photoflood.
Che cosa succede se si utilizza una fonte di luce caratterizzata da una temperatura di colore diversa da quella per cui la pellicola è tarata? Semplicemente che l'immagine sarà affetta da vistose e spesso sgradevoli dominanti cromatiche. Se la fonte luminosa ha una temperatura di colore maggiore di quella per cui è tarata la pellicola, l'equilibrio cromatico dell'immagine risulterà spostato verso l'azzurro; al contrario, se la fonte luminosa ha una temperatura di colore inferiore a quella per cui è tarata la pellicola, l'equilibrio cromatico dell'immagine risulterà spostato verso il rosso.
Quanto detto vale soprattutto per le pellicole invertibili: nelle pellicole negative le dominanti cromatiche possono essere corrette in fase di stampa, anche se per lavori di qualità professionale esistono pellicole negative tarate per luce artificiale.
Come rimediare alle dominanti cromatiche? Con i filtri di conversione e correzione colore.
La differenza tra filtri di conversione e filtri di correzione è semplice. I filtri di conversione "convertono" la sensibilità cromatica della pellicola da un tipo di taratura all'altro. I filtri della serie blu (tipo Wratten 80A) consentono di usare in luce artificiale (3200K) pellicola tarate per luce diurna, compensando le dominanti gialle e rosse; i filtri della serie arancio (tipo Wratten 80B) permettono di usare pellicole per luce artificiale in luce diurna (5600K), compensando le dominanti azzurrine che ne deriverebbero.
I filtri di correzione colore (CC) sono la "famiglia" più grande, nella quale anche i filtri di conversione possono essere fatti rientrare. Essi servono a compensare le dominanti cromatiche indotte da una temperatura diversa da quella per cui la pellicola è stata tarata. Il loro uso è tutt'altro che semplice, dato che per ottenere una compensazione ottimale il fotografo dovrebbe andarsene in giro con un termocolorimetro (strumento piuttosto costoso) e - quel che è peggio - con l'intera serie di filtri Wratten.
Essendo questo improponibile (tranne per chi debba svolgere lavori di estrema precisione, come fotografia di quadri, affreschi o manoscritti miniati), si finisce per andare "a occhio" ed usare un paio di filtri standard buoni per tutte le occasioni. Le eventuali dominanti residue non sono una tragedia ed anzi vengono accettate volentieri da chi osserva l'immagine. Di solito ci si aspetta che la luce di un camino non appaia proprio perfettamente bianca, o che una fotografia scattata in riva a un lago gelato presenti quei toni azzurrini che suggeriscono l'idea del freddo.
I filtri digradanti
I filtri digradanti, o gradual, sono per metà trasparenti e per metà colorati. Il passaggio dalla zona trasparente alla zona colorata non è netto, ma graduale e sfumato.
La loro funzione è duplice.
Prima di tutto essi inducono una forte dominante cromatica in corrispondenza della zona dell'inquadratura che coincide con la parte colorata. I cieli viola, tabacco o malva che andavano di moda negli anni Ottanta, soprattutto in ambito pubblicitario, erano ottenuti in questo modo. Oggi questi effettacci appaiono ingenui e gratuiti, ma c'è ancora qualcuno che mostra di apprezzarli.
Attenzione: non usare questi filtri per colorare il cielo quando nella parte bassa dell'inquadratura c'è dell'acqua: simulare un cielo incendiato dalla luce del tramonto non è sufficiente se poi quello stesso cielo non viene riflesso! Un laghetto perfettamente azzurro sovrastato da un cielo rosso suona falso come il mago Otelma! Seconda precauzione: non usare i filtri digradanti se la linea dell'orizzonte non è diritta. In presenza di montagne o edifici di diversa altezza si rischia di colorare anche le cime o i tetti più alti.
La seconda funzione di questi filtri, la più "seria" e professionale, è quella di compensare lo scarto di esposizione esistente tra due zone dell'inquadratura. In presenza di forte scarto tonale tra cielo e paesaggio terrestre, si rischierebbe di avere un cielo troppo chiaro (se si espone per il paesaggio), o al contrario un paesaggio illeggibile (se si espone per il cielo). Un filtro digradante grigio medio, con la zona grigia posta in corrispondenza del cielo, bilancerà il contrasto tonale senza indurre dominanti cromatiche. In presenza di cieli azzurri e liberi da nubi (che se presenti verrebbero colorate) si può - con giudizio! - sostituire al grigio neutro un digradante azzurro.
I filtri per il ritratto
I filtri diffusori (detti anche "flou" o "morbidi") possono essere usati sia nel colore che nel bianco e nero, come è ovvio, ma li trattiamo qui perché molti dilettanti preferiscono effettuare ritratti a colori.
Su di essi non c'è molto da dire, se non che accentuano le alte luci e creano un effetto di diffusione particolarmente adatto a creare un'atmosfera romantica e sognante. Di solito vengono venduti in serie di tre, con effetti più o meno marcati di diffusione.
I filtri neutral density
Utili sia nel bianco e nero che nel colore, i filtri a densità neutra, venduti in diverse gradazioni, decrementano l'esposizione di un valore corrispondente al loro fattore-filtro. Ad esempio, un filtro ND4 decrementa l'esposizione di due stop.
Le loro funzioni sono molteplici. Ci limitiamo ad elencarne qualcuna.
* Uso di pellicole molto sensibili in luce diurna;
* Uso di obiettivi catadiottrici (quindi non diaframmabili) in presenza di forte luminosità ambientale o con pellicole di elevata sensibilità;
* In fotografia di architettura, per consentire tempi di posa sufficientemente lunghi da eliminare auto in movimento e passanti;
* Necessità di utilizzare diaframmi aperti (ad esempio, per effettuare una messa a fuoco selettiva) in presenza di forte luminosità ambientale.
Considerazioni finali
Tutti i filtri finora citati, ad eccezione di quelli "morbidi" per il ritratto, assorbono luce.
Analogamente vale tutto quello che avevamo detto riguardo alle precauzioni d'impiego. Quando il filtro non aggiunge nulla alla fotografia, il filtro non va usato, punto e basta. Ci si ricordi che si tratta sempre e in ogni caso di una coppia di superfici aria-vetro applicate a un obiettivo progettato per lavorare da solo.